Da un viaggio con Avventure nel Mondo nel 2003
I bambini. La cosa che più ti colpisce viaggiando attraverso il Laos e la Cambogia sono i bambini. Il loro sguardo, soprattutto. A volte triste. A volte allegro. Ma sempre incuriosito da chi sembra arrivare dall’altra parte del mondo. Del resto è proprio da lì che veniamo.
Il viaggio è stato lungo: due giorni pieni per arrivare. E anche lì di strada ne abbiamo fatta parecchia. Una notte in treno da Bangkok fino al confine fra Thailandia e Laos. Un solo volo interno, tra Ventiane e Phnom Pen. Chilometri e chilometri in macchina, tuk tuk, pulmini affittati e bus di linea lungo strade tra le risaie e le montagne. Strade piene di buche, polverose, maledette e incantate. Ma gli spostamenti più belli sono stati quelli sul fiume. Tre giorni lungo il Mekong: un acqua marrone che all’inizio sorprende ma che alla fine sembra il colore più naturale che c’è.
Con un barcone di legno a motore abbiamo navigato da Luang Prabang, la vecchia capitale del Laos, colorata dell’arancione dei monaci e dei templi buddisti, fino al villaggio di Muang Ngoi, dove la gente usa quel che resta delle bombe americane per fare i muretti di casa e i geki ci hanno tenuto compagnia per tutta la notte. Ritornando verso Ventiane, ancora buche e polvere, ci siamo fermati a Van Vieng. E’ la capitale dell’oppio.
Sta diventando meta del turismo hippy : i ristoranti cucinano gli spaghetti alla carbonara e anche un improbabile pasta alla bolognara. Ma la natura è ancora selvaggia.Il tramonto sul fiume non lo dimenticheremo mai.
Poi siamo entrati in Cambogia. Due giorni a Phonm Pen per vedere il museo nazionale.
Per rendersi conto di cos’è il traffico in una capitale orientale, dove andare in motorino in cinque è quasi la regola. Per comprare sete e tessuti nei mercatini. E sentire l’orrore dei campi di concentramento di Pol Pot.
Ultima tappa Angkor, nell’anno mille la città più grande del mondo.
Templi mangiati dalla foresta, scalinate che ti sembra di precipitare nel vuoto, bambini che usano ancora la falce per tagliare l’erba di prati che non finiscono mai. Descriverla è impossibile, bisogna vederla. Da lì siamo rientrati in Italia. Giusto in tempo per beccarci il black out di fine estate. Qualcosa vorrà pur dire.